dignità autonome di prostituzione OUTdoor

Tutta questione di cervelletta

Che in Italia la cultura sia confinata in spazi risicati (fisici e metaforici) è ormai una certezza più che un timore. Sempre meno fondi a chi porta avanti attività artistiche, un Ministro dei Beni Culturali che scrive poesie sconclusionate sui magazine, sempre meno spazi a disposizione per esprimersi.
In questa situazione ci vuole un cervello che si ingegni a trovare una soluzione per non rassegnarsi definitivamente a gettare la spugna. Oppure una Cervelletta aperta a ospitare manifestazioni di teatro indipendente come è “Dignità autonome di prostituzione“, originale spettacolo ideato da Luciano Melchionna.
La Cervelletta di cui sopra è un casale sulla via di Tor Cervara, un tempo abbandonato e da qualche anno recuperato; utilizzato per feste, mostre e come spazio creativo, fa da scenografia a un concept teatrale molto particolare e interessante. Metafora e insieme rappresentazione scenica del Teatro stesso, il casale si trasforma in un bordello, popolato da maitresse e entreneuse che offrono ai clienti la loro prestazione in cambio di uno o due “dollarini”.
All’ingresso si paga una – onestissima – quota e si hanno in dotazione un tot di “dollarini” (riproduzioni ridotte di dollari) con cui acquistare la performance. Gli attori-entreneuse si fermano nell’atrio ad adescare i clienti, insieme alle maitresse che contrattano per conto loro.

Difficile seguire tutte le performance in un paio d’ore a disposizione. Si va a istinto, a simpatia; si sceglie il personaggio che incuriosisce, stuzzica. Si consultano velocemente, incrociandoli per le scale o negli spazi all’aperto di passaggio, gli spettatori che escono dalle stanze. Si viene spinti anche dall’ambientazione più o meno originale (c’è un’attrice che tiene il suo monologo nell’abitacolo di un’automobile insieme con 3 o 4 spettatori, un attore che recita in un sotterraneo del casale), oppure da file più o meno lunghe di aspiranti clienti.
Scelta la prostituta da seguire, si contratta con la maitresse il prezzo (alcuni chiedono un “dollarino”, altri due, altri ancora fanno sconti comitiva), diventando, da pubblico, attori stessi di una performance globale.
Ci sono monologhi (sempre brevi: da 10 minuti a 40 più o meno) drammatici o leggeri, testi intensi tratti da storie vere, divertissement e giochi. Monologhi fatti “di cuore”, “di tecnica”, “un po’ cuore, un po’ tecnica”, come ci spiega prima del suo pezzo Goran, a detta di molti una delle migliori performance.
Noi abbiamo seguito solo quattro monologhi (su tantissime proposte): La Carla, storia di un’attrice che subì l’esperienza del centro igiene mentale e a cui venne strappato il figlio, intensa e vissuta, commovente, che ci ha lasciato senza fiato; La Frigida, fra il divertissement, la critica sociale e ambientalista, recitata con una qualità tecnica eccellente; l’Inquisitore (il più complicato da vedere), che ci ha pietrificato con un monologo serrato sulle tentazioni di Cristo, che ci piacerebbe rivedere o leggere parola per parola, pausa dopo pausa. E Goran.
Lui si esibisce fuori dal casale, in una stanza ricavata all’interno di una tenda. Ci accoglie in casa – siamo circa venti persone, ci offre pane e salame, ci invita a ballare, a partecipare a una festa e si presenta. Ha un accento che sembra slavo, e ascoltandolo ci chiediamo se sia molto, ma molto bravo o se sia veramente un romi venuto a cercare fortuna in Italia. Con leggerezza e un sorriso sardonico che ci conquista e una tagliente ironia che nei ricordi più bui assume i toni di un amaro sarcasmo, ci racconta della guerra nei Balcani, che ha ucciso un suo amico a pochi metri da lui, della fatica per andare avanti in un posto dove mancano cibo e libertà e della svolta, “fare i soldi” in Italia.
Fra un tintinnio di collane d’oro e uno scintillare di grossi anelli, spunta pure una pistola, e gli occhi di uno che finalmente ce l’ha fatta brillano come i gioielli che ha conquistato.

Andiamo a mangiare un uovo fritto all’occhio di bue con il pane fresco e le bruschette pomodoro e origano, prima di ributtarci nel vero casino fuori da quel bordello.

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