libri pensieri

Tu quoque? Gli antichi romani in cucina

La titanica impresa che si vuole affrontare in questa sede è il rinvenimento – nella letteratura – di scene di cibo, cucina e banchetti, indispensabili per un motivo o per un altro all’andamento del racconto stesso. E legare ad esse la ricetta che le riguarda, coinvolgendovi da un lato nell’andare a ripescare il libro in questione per verificare l’esattezza delle farneticazioni qui presenti, dall’altro nel testare la vostra bravura ai fornelli e il vostro grado di dedizione alle umane lettere.
Partiamo così da molto lontano. E cerchiamo anche di essere intellettuali e snob in buona misura, perché questo fa bene a chi scrive, ma anche a chi legge. Primo assunto dei nostri post “ti cucino io: il lato (anche) pratico della letteratura” è: darsi delle arie.
Il primo esempio di romanzo occidentale dove si parla di crapule e banchettanti è sicuramente il Satyricon di Petronio Arbitro, inquietante quanto wyldiano figuro che nell’epoca di Nerone innalzava se stesso grazie ad una costante ma elegante sbeffeggiatura degli altri. Nessuno di noi, sembra ovvio, ha mai letto Petronio per intero. Nelle terribili (per chi le ha vissute) interrogazioni di latino sulla letteratura di epoca imperiale bastava dire che era “arbitro di eleganza” e la pappa era fatta.
Ma la pappa che offre il nostro amico nella sua cena di Trimalchione è qualcosa di esorbitante. Anzitutto bisogna immaginarsi l’anfitrione di casa, l’arricchito di basse origini che ostenta al solo scopo di ostentare. Qualcosa di molto simile agli attuali mecenati russi che, imbevuti di vodka e champagne, mafiosi e rumorosi in egual misura, brindano alle vernici della Biennale di Venezia, paghi di aver speso migliaia di euro per opere d’arte contemporanea.

Il nostro amico Trimalchione gioca a tavola, di fronte ai suoi invitati, una partita con la morte. Lui, possibile guardiano in terra del mondo degli Inferi (così diceva un professore all’Università), dà sfoggio di ricchezze presentando ricercatissime pietanze.
Si passa da ghiri spalmati di miele a 12 cibi disposti in circolo su un vassoio rotondo, ciascuno per ogni segno zodiacale (andate a cercare quello che vi perviene e riflettete). Sistemato sulla tavola un trionfo contornato da focacce, al cui centro si erige un Priapo, commestibile, che secondo l’iconografia consueta (e tutti sappiamo che Priapo – simbolo di fertilità maschile – aveva avuto in sorte una perenne erezione, per la gioia delle amiche e degli amici) tiene nel suo ampio grembo ogni sorta di frutti e di grappoli. Infine Trimalchione fa servire i dolci, consistenti in tordi fatti di farina di segale impastata, farciti di uva passa e noci.
La ricetta legata a questo momento di sublime letteratura latina, sottile humor e incredibile raffinatezza, la prendiamo pari pari da Apicio e Columella. Per realizzarla ponetevi nello spirito di un perfetto antico romano: avvolgetevi in una tunica, mettete anelli d’oro alle dita e approntate una cena supina. Soprattutto tenete accanto una bacinella, perché, si sa, i nostri Cives amavano vomitare e poi ricominciare. Se avrete il coraggio di ricominciare sarete davvero Crapuloni Degni.

GARUM: dosi per 4 persone:
interiora di pesce
Tempo di preparazione: qualche giorno di sole
Difficoltà: semplice
Calorie a porzione: non pervenute
Soddisfazione degli ospiti: da verificare
Prendete le interiora di pesce e lasciatele macerare sotto uno strato di sale (almeno due dita) per qualche giorno, meglio se al sole. Quando riterrete la poltiglia abbastanza puzzolente e omogenea, raccoglietela in un’anfora (come il nostro amico Trimalchione) e servitela con secondi di carne. Si sposa benissimo con il ghiro, per l’appunto.
Accompagnate il tutto con del Falerno vecchio almeno di 2000 anni.

2 Comment

  1. 🙂 e dove lo troviamo il Falerno di 2000 anni? andrà bene una Falanghina dei Campi Flegrei? Avrebbero approvato questa scelta i nostri avi?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *